L’Appennino, scheletro dell’Italia – De Rita al Padiglione Save the Apps

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L’Appennino, scheletro dell’Italia – De Rita al Padiglione Save the Apps

La Fondazione Aristide Merloni, insieme alla Fondazione Vodafone Italia, al CENSIS e a numerosi altri partner privati, è al lavoro sui progetti di Save the Apps: tre anni di iniziative e approfondimenti che combinano la tutela delle tradizioni delle nostre montagne con tecnologie digitali e 4.0, per stimolare le energie vitali del territorio dopo il devastante terremoto del 2016-2017.

 

L’Appennino, ci ha ricordato Giuseppe De Rita, Presidente del CENSIS, in un suo recente, profondo intervento sul Corriere della Sera è lo “scheletro fisico” della nostra penisola, una  “struttura portante, senza la quale il sistema si scioglie verso il mare”, che però non è mai stata organizzata in sistema, e che anche per questo, già da prima del terremoto, scontava il rischio di un “irrevocabile spopolamento”, la “propensione del sistema a scivolare verso la «polpa» agiata ed agevole delle zone costiere”.

Un declino di lungo periodo, passato a lungo inosservato nella società e nella politica italiana: ma quanto è importante, per il nostro Paese, questo Appennino?

A darci una definizione si è impegnata la Fondazione Symbola, che lega il suo impegno alla valorizzazione del made in Italy e dei piccoli comuni, e che non a caso si riunisce a Treia, nel cuore della provincia di Macerata, per il suo seminario estivo e per il Festival della Soft Economy, quest’anno dal 02 al 06 luglio 2019.

Durante l’incontro “Save the Apps: le energie vitali dell’Appennino si mobilitano”, che si è tenuto a Fabriano lo scorso 13 giugno nell’ambito della XIII UNESCO Creative Cities Conference, Ermete Realacci, Presidente di Symbola, ha presentato l’Atlante dell’Appennino, realizzato in collaborazione con il Parco dell’Appennino Tosco-Emiliano e delle Foreste Casentinesi,  e con il Ministero dell’Ambiente, che ci permette di apprezzare appieno la dimensione fisica del “fenomeno Appennino”.

L’Atlante dell’Appennino: una definizione fisica della nostra montagna

Il primo elemento che emerge prepotente è che l’Appennino ha dimensioni tali da non poter in nessun modo essere rimosso dall’attenzione del nostro Paese: con i suoi 1300 chilometri di lunghezza e 94.000 km quadrati di superficie, l’Appennino è la nostra più lunga catena montuosa, e occupa un territorio più grande di quello di Stati europei come il Portogallo, l’Ungheria o l’Austria, che supera anche in termini di popolazione, coi suoi 10 milioni di abitanti.

L’Appennino è il cuore dell’Italia verde: vi si trova il 30% delle aree protette italiane e oltre il 50% delle DOP e delle IGP. Una vocazione alla sostenibilità che è anche il frutto di un lungo cammino etico e spirituale, distillato dai monasteri che affollano queste montagne in documenti di straordinaria attualità come il Codice Forestale Camaldolese: già 850 anni fa i monaci dell’Appennino dettavano norme per assicurare un rapporto equilibrato e quasi simbiotico tra l’Uomo e il Bosco, l’uno custode dell’altro.

Ma l’Appennino è anche una terra ancora straordinariamente ricca di saper fare, di impresa e di artigianalità: non solo più di un milione di imprese opera su queste montagne, ma come ha ricordato Gian Mario Spacca, vice Presidente della Fondazione, il 21% delle attività imprenditoriali dell’Appennino è manifatturiero, una percentuale superiore alla media europea. Ricordava De Rita nel suo articolo sul Corriere che è proprio questo connubio tra anima contadina, radicamento sul territorio e imprenditorialità a definire l’anima profonda di questi territori, “serbatoio di quella «anima contadina» (di sobrietà e di sacrificio) che ci ha permesso di superare le crisi economiche degli ultimi decenni”.

Giuseppe De Rita: l’Appennino, scheletro fisico dell’Italia

 

Una vocazione al fare che che negli anni passati è stata un vero e proprio modello di sviluppo e un caso di successo: “l’Appennino è il luogo in cui per secoli non ci si è consegnati alla rassegnazione (dei tanti contadini inquadrati in malmesse divisioni di fanteria) o al risentimento (dei tanti costretti a emigrare); l’Appennino è il luogo dove malgrado tutto sono nate decine di iniziative imprenditoriali private di grande successo (da Ariston a Tod’s a Lube, tanto per citare solo la realtà marchigiana.”

 Eppure, questo modello da solo non si basta più: lontano dall’attenzione della grande politica a causa dei suoi “elettori […] dispersi fra colline e montagne, difficili da contattare con i tradizionali strumenti di vicinanza e relazione sociopolitica, e […] per natura restii ad accettare il fascino della comunicazione di massa”, l’Appennino deve ritrovarsi in un progetto comune.

Come proposto dal Presidente Francesco Merloni e da De Rita, è il momento per l’Appennino di farsi “cartello, dalle montagne della Calabria a quelle dell’Emilia, riunendo persone, forze e comunità che proseguano in una testimonianza concreta, in progetti concreti in grado di stimolare le energie del territorio, e sappiano iniziare un dialogo con le Istituzioni non soltanto italiane ma anche europee, in vista della nuova programmazione comunitaria.

Citando Mahler, Ermete Realacci ha ricordato come “la tradizione non [sia] culto delle ceneri ma custodia del fuoco”: si deve affrontare una globalizzazione che ha determinato nelle società europee sconvolgimenti paragonabili, per radicalità, solo alle conseguenze della scoperta dell’America.

Ermete Realacci a Fabriano durante la presentazione dei progetti di Save the Apps al Palazzo del Podestà

 

Ed ecco quindi che, come negli anni ‘60 era fondamentale aiutare le imprese dell’Appennino a dotarsi delle più aggiornate tecniche manageriali, macchinari e contatti con consulenti e fornitori, oggi per navigare nei mari agitati della competizione mondiale la Fondazione Aristide Merloni vuole dotare le piccole imprese e le comunità dell’Appennino di “caravelle digitali in grado di portarle nel Nuovo Mondo, sfruttando le opportunità offerte dalle nuove tecnologie.

Ecco perchè, con i progetti di Save the Apps, abbiamo lavorato sul coinvolgimento di grandi aziende ed enti di livello nazionale e internazionale, come Fondazione Vodafone Italia, CENSIS, Ericsson, Namirial, Fondazione Edoardo Garrone, Università Politecnica delle Marche, Fondazione Marche, Coldiretti: se vogliamo continuare a produrre “all’ombra dei campanili cose belle che piacciono al mondo”, queste grandi realtà possono trasferire competenze diffuse, aprire nuovi mercati e visibilità a livello globale come con il progetto di Best of the Apps- Local Food, portare sul territorio infrastrutture digitali che diano maggiore resilienza.

Gian Mario Spacca e Romano Prodi alla presentazione dei progetti di Save the Apps

 

Di fronte alla contemporaneità, ci impegneremo per un Appennino che sappia aprirsi al mondo e a guardare al futuro, per stimolare le energie vitali di questi 2157 Comuni che sono il cuore fisico e identitario del nostro Paese: se si salva l’Appennino, si salva l’Italia.

Symbola è presente nel padiglione SavetheApps (Palazzo del Podestà di Fabriano fino al 6 gennaio 2020).  Espone il suo ultimo lavoro: l’Atlante dell’ Appennino, ovvero la sua definizione fisica, economica e ambientale.

Scopri il Padiglione di SAVE THE APPS al Palazzo del Podestà di Fabriano,

in mostra fino al 06 Gennaio 2020